Come tutte le città, anche Parigi è oggetto di un’idealizzazione da cartolina. L’immaginario collettivo si focalizza su precise caratteristiche che finiscono per totalizzarne l’essenza, a scapito della varietà di ambiances che si respirano, di preziosi dettagli che si nascondono dietro i grandi punti di raccolta del turismo inconsapevole. L’unico antidoto a questa visione è perdersi, rendersi permeabili, attraversare e farsi attraversare, alla ricerca di un’anima plurale, inattesa.
La guida alternativa prende spunto da un’esperienza di attraversamento di Parigi, durata dieci giorni, che ha assunto le connotazioni di una deriva in solitaria, un cammino dettato soprattutto dall’occasione momentanea, dall’esigenza della scoperta, sicuramente dalla casualità e dall’impulso. La condizione di attraversamento veloce – ma non distratto – è stata la chiave per interiorizzare la città, per tracciare una cartina psicogeografica in grado di reinterpretare la topografia tradizionale secondo ritmi e percezioni personali.
Nota: l’intero viaggio, con percorsi, annotazioni giornaliere e frammenti di memorie fotografiche è raccontato nel Carnet de voyage qui sotto disponibile; l’articolo che segue è invece una selezione tematica, realizzata come possibile suggestione per il presente lettore/futuro viandante, che vi troverà spunti da confermare (o ribaltare) durante il suo attraversamento.
Alla ricerca di memorie perdute —
Sulle rive della Senna, nel tratto compreso tra Saint Germain-des-Près, Notre-Dame e il Jardin des Plantes, si stagliano delle piccole edicole dove si può trovare ogni sorta d’oggetto d’antiquariato: classici della letteratura francese, spille vintage, vecchie cartoline sbiadite, stampe, santini, mappe e fotografie d’epoca. Le bancarelle dai tetti verdi, Les Bouquinistes, sono una tappa obbligata tra le memorie dimenticate e vendute a basso prezzo: ci si chiede a chi fossero appartenute, quale sia stata la loro Odissea prima di giungere alla meta presente. Si respira polvere buona e si intrattengono conversazioni in francese con i commercianti, incuriositi dagli osservatori non di passaggio, dagli affezionati come loro agli oggetti che hanno avuto una precedente vita. Si scopre Parigi attraverso i suoi residui di banale bellezza.
Paesaggi urbani, architetture verdi —
La Parigi divisa tra minuti spazi e i boulevards da disarticolare, ostili al cammino, con grandi immobili a delimitarli, ma con file di alberi a sormontarli, quasi a riprendere terreno sul cemento. Lo sguardo si posa allora sulle architetture, scoprendo una sorprendente capacità di convivenza tra artificiale e naturale, ovunque: dai giardini curati ai grandi parchi con sculture come Parc Monceau, dal Canal Saint Martin alle sdraio del Jardin des Tuileries e del Jardin du Luxembourg dove godersi attimi di ristoro, elaborare pensieri con la testa all’insù, dove ricordarsi il tempo della quotidianità. L’emblema della commistione che attraversa la città è il Coulée verte René-Dumont, un corridoio verde nato dalla riqualificazione di una ferrovia abbandonata che parte da vicino Gare de Lyon (zona Bastille/Quinze-Vingt) e arriva al Bois de Vincennes, all’estrema periferia est; un percorso sopraelevato ripopolato dalla vegetazione, da cui sbirciare lo spazio urbano sottostante.
Pellegrinaggi, Dada e Autogrill —
Ogni viaggio porta con sé la speranza di un incontro impossibile, che si tramuta nell’eroico gesto del pellegrinaggio: inseguire le orme dei grandi uomini, odorarne il passaggio, ricercarne le tracce nel tessuto di Parigi; visitare le tombe delle proprie guide spirituali per sentirsi ispirati dalla loro presenza immateriale, per cercare riparo e consiglio. Il Panthéon come tempio laico in cui ritrovare Émile Zola o il Cimitière du Montparnasse con Charles Baudelaire, Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre, un recinto di silenzio con edicole gotiche, biglietti dell’autobus e baci sulle lapidi all’ombra della Torre che sovrasta il cielo del quartiere. Il pellegrinaggio a Saint Julien-le-Pauvre come emulazione dell’Avanguardia, nell’intenzione di replicare esattamente, con una polaroid, la fotografia che immortala la prima passeggiata Dada a Parigi in quella giornata di nebbia del 1921; constatare l’inesorabile cambiamento d’ambiance, ora Autogrill di sosta per turisti scalzi e piccioni. Infine, il pellegrinaggio non solo come cammino verso il corpo dell’artista ma anche verso il corpus, ovvero verso la presenza materica delle pennellate di Monet al Musée de l’Orangerie, in un processo che arriva ad attraversare la pittura fino a non vederla più.
Musei, ambienti —
I musei come racconto da rimodellare in lunghe ore di formazione, con note alla mano. I musei come micro-ambienti abitabili in cui selezionare dettagli di stupore e in cui collezionare esperienze. Entrare nel Jardin d’hiver di Jean Dubuffet e nel Magasin di Ben Vautier al Centre Pompidou; accogliere l’invito nell’appartamento-studio di Gustave Moreau con i suoi vasi orientali, le incisioni rinascimentali, i disegni preparatori e le pitture sgretolate fino all’astrazione del paesaggio; essere ricoperti di luce nell’intimo atelier di Suzanne Valadon al Musée Montmartre, dove essere parte di un qualcosa che è accaduto in epoche passate, ancora così tangibile. Sentirsi come formiche sulla sommità della gigantesca Foundation Louis Vuitton, camminare dentro un’opera d’arte, sul tetto del mondo, sostenuti da vapore acqueo che potrebbe infrangersi eppure che resta saldo sotto i piedi; inglobare il circostante – il bosco, La Défense lontana – da dentro i petali di un fiore gassoso, che vertiginosamente si aprono ma che ti proteggono durante il volo.
Composizione: mappe ritagliate, cartoline, artisti come saltimbanchi
Sbagliare strada non vuol dire sbagliare strada —
La permeabilità è il fattore determinante di ogni viaggio, ciò che permette un attraversamento totale e completo dello spazio. Farsi guidare dalla città e dall’istinto con una prospettiva aperta che scivola tra casualità ed esigenza. Il miglior modo per entrare in simbiosi con Parigi – come con qualsiasi altro luogo – è lasciarsi trasportare dall’incontro, dall’incidente, dall’immanente, costruire un percorso in itinere che rispecchi la curiosità e gli imprevisti che si determinano e sovrappongono nella completa fusione tra qui e ora. Girovagare a piedi, in bicicletta, in metro, in monopattino elettrico, spostarsi, fermarsi, ritornare nei luoghi in cui si è affacciata quella spiritualità buona e intraducibile. Mettersi in strada, sbagliare volontariamente direzione, ricavare tempo per il quotidiano e l’inutile, per la noia e per l’indecisione. In fin dei conti, «errare».
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